Daneri,
Fuselli, Morozzo della Rocca, Andreani, Pateri, Pulitzer, Sibilla sono
i progettisti che hanno dato forma sotto il coordinamento di Luigi Carlo
Daneri ed Eugenio Fuselli all'insediamento abitativo di Forte Quezzi.
L'Ina-Casa aveva acquistato una porzione di territorio pari a 33 ettari
che si estendevano attorno alla fortificazione di Quezzi, ma gran parte
dei terreni acquistati non furono utilizzati, è lo stesso Fuselli
che lo dichiara (1).
Nel febbraio 1949 è approvata la legge n.43 Provvedimenti per incrementare
l'occupazione operaia. Case per lavoratori, prende così avvio un
imponente piano di costruzione di parti importanti, dimensionalmente,
di città italiane.
Il piano Fanfani, allora ministro del lavoro del governo De Gasperi, voleva
rimediare alla situazione dei disoccupati alla fine della guerra, attraverso
piani di insediamenti residenziali atti a risollevare l'economia italiana.
" Reputai utile -afferma Fanfani- rivolgere il mio sguardo alle costruzioni
edilizie, visto che... esse sono le più capaci a fungere da volano
nel sistema economico" (2).
L'Ina-Casa nasce all'inizio dall'Istituto Nazionale delle Assicurazioni,
e la copertura finanziaria dei piani è fornita dallo Stato, dai
datori di lavoro e dai dipendenti attraverso una trattenuta del salario,
una specie di fondo sociale solidale con i disoccupati. Sono costituiti
due comitati quello di attuazione (alla cui presidenza è chiamato
Filiberto Guala) organo che emana le norme e i contributi finanziari;
il comitato di gestione, invece, si occupa dei piani dal punto di vista
architettonico,controlla gli enti periferici e conferisce gli incarichi
(alla cui presidenza è nominato Arnaldo Foschini), in cui partecipano
rappresentanze del mondo del lavoro, sia i datori che i lavoratori, oltre
a rappresentanti del governo (ministeri del tesoro,del lavoro e dei lavori
pubblici). Vengono indetti dei concorsi per reperire gli architetti e
formare l'elenco dei progettisti così ogni partecipante doveva
dimostrare di saper progettare quattro differenti tipologie abitative:
tipo
A casa isolata a due piani con due alloggi per piano
tipo
B casa a schiera a due piani
tipo
C casa isolata a quattro piani con tre alloggi per piano
tipo
C casa continua a tre piani con due alloggi per piano.
Si
venivano così a formare gli elenchi dei professionisti, in gran
parte giovani e alle prime esperienze, che da subito potevano confrontarsi
con la progettazione dell'alloggio-tipo.
L'Ina-casa pubblica dei manuali di progettazione dove sono indicati le
tipologie e le regole cui i progettisti si devono attenere, inoltre, per
agevolare la partecipazione della maggior parte di lavoratori, favorendo
la manodopera a scapito della meccanizzazione, l'organizzazione dei cantieri
e le tecniche di costruzione privilegiate sono di tipo tradizionale.
"Nei 20.000 cantieri si consolida sempre più il modello costruttivo
... basato sulla ibrida contaminazione di muratura e cemento armato (3)
".
Gli anni cinquanta in Italia hanno consentito ai giovani e ai più
affermati architetti di sperimentare attraverso le residenze e i quartieri
Ina-Casa le soluzioni architettoniche teorizzate, pur nei limiti consentiti
dai Piani.
La
città progettata sulle pendici di Quezzi (1956-68), rappresenta
un nuovo modo di concepire gli insediamenti residenziali fino ad allora
realizzati a blocchi rettangolari, come nel caso del quartiere,sempre
INA-Casa, Bernabò Brea, realizzato dallo stesso Daneri qualche
anno prima (1950-57).
Il quartiere genovese, rappresenta un'eccezione in quanto rompe la tradizione
costruttiva voluta dall'Ina-Casa rispetto agli insediamenti realizzati
nel resto del paese, sia nella forma che nella scelta dei materiali, annoverandolo
tra gli archetipi più importanti e sperimentali dell'architettura
moderna.
Solo un giovane Giancarlo De Carlo nell'edificio a cinque piani di Sesto
San Giovanni (1950-51) e nelle case Ina a Baveno (1951-53) riesce a interpretare
il tema della residenza in chiave moderna e innovatrice come faranno Daneri
e Fuselli qualche anno più tardi. Per la maggior parte degli interventi
si tratta di architetture tradizionali, sia per tecniche costruttive sia
per forma, che non contribuiscono a modificare la concezione dell'abitare,
solo in alcuni casi ciò avviene: nelle case a patio di Adalberto
Libera nel quartiere Tuscolano di Roma realizzato da De Renzi e Muratori
(1950-60) e nel quartiere di via Harrar a Milano realizzato da Figini,
Pollini e Ponti(1951-55).
Oggi, a quasi cinquant'anni (il "biscione" è del 1956-57
mentre l'ultimo dei cinque edifici previsti viene terminato solo nel 1968)
dalla loro costruzione, le unità abitative sono ancora modernissime
nella concezione e nel modo in cui sono disposte sul territorio, seguendo
nell'andamento serpentino, le curve di livello.
La scelta di adottare questa forma fu proposta da Eugenio Fuselli che
dopo sopralluoghi accurati giunse a una delle tante riunioni serali con
i compagni di gruppo, il cui coordinatore era Daneri, convincendoli che
fosse meglio ridurre la superficie utile concentrandosi sul versante sud,
attraverso una disposizione di case a schiera continue. Questa non è
una supposizione ma è supportata da una conferenza tenuta da Fuselli
al Rotary Club di Genova (4), è una scoperta che modifica la storiografia
del "biscione", che è da sempre ritenuto opera univoca
di Daneri, in realtà lui era il coordinatore di un gruppo di professionisti
preparati dal punto di vista culturale e tecnico i quali attraverso un
grande lavoro di equipe hanno contribuito a rendere efficace l'intervento
architettonico del quartiere. Daneri era il personaggio più conosciuto
ma appare di rilevante importanza rivalutare il contributo di Eugenio
Fuselli. Laureatosi a Padova in Ingegneria nel 1926, l'anno successivo
si iscrive alla Scuola Superiore di Architettura di Roma ed entra nel
gruppo di Luigi Piccinato con cui partecipa alla proposta per il Piano
Regolatore di Roma al Congresso Internazionale di Urbanistica del 1929,
partecipò successivamente al Concorso per la sistemazione dell'area
della Foce a Genova, realizzato poi da Daneri.
Il
piano d'insediamento di Forte Quezzi prevedeva la costruzione di cinque
edifici, tutti realizzati, di cui l'edificio A, il "Biscione"
appunto, progettato da Daneri e Fuselli.
La disposizione curvilinea consentiva, grazie all'orientamento a sud,
un'ottima illuminazione naturale e per la posizione panoramica il pieno
godimento delle visuali sulla città.
Un aspetto non secondario è dato dalla strada che affianca l'edificio
come una vera "promenade architecturale", un nastro di asfalto
che collega le varie parti del complesso, contribuendo a rendere omogeneo
il progetto, così come il ripetuto andamento curvilineo delle altre
unità abitative sottostanti.
La difficoltà di progettare il bordo della città, come avviene
in questo caso, ha portato i progettisti a individuare un modello ripetibile
per tutti e cinque gli edifici, un atteggiamento culturale innovativo
che guarda al paesaggio con rispetto, molto di più di altri interventi
collinari genovesi,che non mirano certo a un'integrazione nel contesto
ma a un dominio su di esso, da Voltri 2 alla "diga" di Gambacciani
a Begato.
La scelta di adottare il cemento a vista, la partizione orizzontale delle
travi che ne esaltano l'orizzontalità, l'edificio sollevato da
terra, lo pongono in sintonia con i principi dell'architettura di Le Corbusier,
maestro del Movimento Moderno cui Daneri, in occasione della realizzazione
di Piazza Rossetti, scrisse una lettera con allegate delle fotografie.
Nella risposta, l'architetto franco-svizzero, ne elogiava il carattere
appartenente, con pieno diritto, alla poetica architettonica da lui professata.
"L'architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico
dei volumi assemblati nella luce. I nostri occhi sono fatti per vedere
le forme nella luce: le ombre e le luci rivelano le forme...l'immagine
ci appare netta e tangibile, senza ambiguità(5)".
La luce, modella le superfici pure, del "beton brut", filosofia
di un modo di intendere l'architettura dove la rugosità della materia,
data dalla fiammatura delle tavole di legno della casseratura, conferiscono
all'insieme una chiarezza delle intenzioni dell'architetto.
Daneri e Fuselli hanno sperimentato soluzioni tecnologiche molto interessanti
e radicali, nell'incastro pilastro-trave che costituisce l'ossatura strutturale
del complesso che viene così suddiviso in unità d'abitazione
uguali per tutta la lunghezza, ciò contribuisce a rendere l'intero
edificio un unicum modellato sull'orografia.
Un'altra importante riflessione è legata alla scelta progettuale
di spezzare la continuità spaziale con l'inserimento di due spazi
pubblici coperti che ne percorrono l'intera lunghezza, due promenades
architecturale: la prima alla quota di ingresso degli alloggi, ma già
sopraelevata rispetto alla strada, e la seconda tra un blocco di alloggi
e l'altro (ciascun blocco è costituito da tre piani); si crea così
un alleggerimento nel prospetto con il taglio centrale che diventa spazio
pubblico adibito, in origine al passeggio, e al gioco dei bambini, in
realtà poco sfruttato, ma dal quale si ha una straordinaria visuale
sulla città.
Il biscione resta l'esempio più significativo del mai realizzato
plan Obus di Algeri di Le Corbusier dove enormi edifici seguivano i profili
curvilinei del territorio collegati da infrastrutture stradali di cornice,
panoramiche sul paesaggio sottostante.
E'doveroso fare un'ultima riflessione, ma non meno importante anzi fondamentale,
legata al completamento del progetto che prevedeva tra un insediamento
e l'altro ampi spazi di verde, mai realizzati, questo ha provocato l'assedio
da parte di costruzioni sorte appena sotto il quartiere risultato della
speculazione edilizia di quegli anni.
Il progetto prevedeva, alla quota degli ingressi delle singole unità
abitative e per tutta la lunghezza dell'edificio, la collocazione di attività
commerciali; mentre la realizzazione di un centro sociale e di una chiesa
era prevista nell'area sottostante. Solo molti anni dopo la chiesa è
stata realizzata.
Le mancate realizzazioni avrebbero contribuito a rendere più vivibile
il quartiere che spesso è stato attaccato, duramente, a causa delle
condizioni di vita sociali che l'architettura avrebbe determinato. Niente
di più sbagliato, l'architettura non ha fallito, dimostrazione
ne è il fatto che gli abitanti sono soddisfatti della spaziosità
degli alloggi, della posizione geografica in cui si trova il quartiere
riconoscendo nel progetto daneriano una qualità dell'abitare.
Il fallimento è avvenuto nelle strutture sociali che non sono state
insediate, che avrebbero consentito agli abitanti di non vivere l'isolamento
dal centro-città, dai negozi,dalle attività ricreative ed
educative.
Oggi a quasi cinquant'anni dalla sua nascita alcune attività necessarie,
farmacia, alimentari, bar, circolo arci, sono state realizzate. Se questo
fosse avvenuto fin dal 1956 l'opinione pubblica avrebbe giudicato l'intervento
in modo differente.
Emanuele Piccardo
Note bibliografiche:
(1)- Rotary Club di Genova, Bollettino n.2, marzo-aprile 1968
(2)- Paola Di Biagi - La grande ricostruzione- Il piano dell'Ina-Casa
e l'Italia degli anni '50, Donzelli, Roma 2002
(3)- Paola Di Biagi - La grande ricostruzione-Il piano dell'Ina-Casa e
l'Italia degli anni '50, Donzelli, Roma 2002
(4)- Rotary Club di Genova, Bollettino n.2, marzo-aprile 1968
(5)- Pierluigi Cerri e Pierluigi Nicolin (a cura di), Le Corbusier, Vers
une architecture, Edizione italiana Longanesi & C, , Milano,1984
Bibliografia:
A.Christen,
I nuovi quartieri coordinati a Genova e il paesaggio ligure, in Urbanistica,
marzo 1958
Renato Bonelli, Quartiere residenziale al Forte Quezzi in Genova, in L'architettura,
marzo 1959
Luigi Carlo Daneri,L.C.Daneri difende il quartiere Ina-Casa di Forte Quezzi
a Genova, in L'architettura, giugno 1959
Eugenio Fuselli, Rotary Club di Genova, Bollettino n.2, marzo-aprile 1968
Hilde Selem, Opere dell'architetto Luigi Carlo Daneri 1931-1960, in L'architettura,
giugno 1960
Bruno Zevi, Storia dell'architettura moderna, Einaudi, Torino 1975
Pietro D. Patrone, Daneri, Sagep, Genova 1982
Paolo Cevini, Genova anni trenta-Da Labò a Daneri, , Sagep, Genova
1989
Ermanno Ranzani, Domus, n.727/maggio 1991, Editoriale Domus, Milano 1991
Emanuele Piccardo, "Ina-Casa Forte Quezzi, video, interventi di Aldo
Aymonino, Pippo Ciorra,Eugenio Fuselli e Mosè Ricci, Archphoto,Genova
2002
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degli autori per i testi e le immagini
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